Perché la app è una delle poche armi contro il Covid.
A settembre solo il 14% degli italiani aveva scaricato Immuni, la app che aiuta la ricostruzione della catena epidemiologica in caso di contagio attraverso il tracciamento dei contatti.
La percentuale insignificante di connazionali che a tre mesi dall’attivazione avevano Immuni sullo smartphone naturalmente ha pregiudicato la possibilità che servisse a qualcosa.
Dopo la mobilitazione di medici, informatici e influencer, qualche giorno fa, questa percentuale era salita al 21% con oltre un milione e mezzo di download nel giorno di lancio della campagna. Dal novero però sono esclusi i minori di 14 anni, target anagrafico su cui si annida il rischio maggiore di contagio diretto. Tradotto in cifre assolute oltre 8 milioni. Ne mancano all’appello oltre 45. Nemmeno l’onda emotiva del lock down, delle perdite umane, del crollo del PIL è riuscita a superare il sentimento antimodernista dell’italiano medio e la diffidenza – a corrente alterna – verso la tecnologia spiona e truffaldina.
Eppure, se analizziamo come funziona Immuni e apriamo lo sguardo oltre i confini nazionali, è facile capire che la sua funzione è strategica dal punto di vista del contenimento del contagio ma poco remunerativa in termini di informazioni per i gestori senza scrupoli a caccia di big data da vendere.
Tecnicamente Immuni è una app di contact tracing per il Coronavirus. Dalla settimana prossima – 17 ottobre – dialogherà con le app europee analoghe. Funziona tramite Bluetooth Low Energy , una frequenza che può arrivare ad un massimo di cento metri interdetta all’uso commerciale, senza raccogliere dati sull’identità o la posizione dell’utente.
Immuni allerta in modo anonimo le persone con cui è stato a stretto contatto soggetto un positivo, che possono controllarsi e soprattutto assumere le precauzioni necessaria ad evitare di contagiare altri, contribuendo a ridurre la diffusione del coronavirus.
E’ la stessa app a delineare uno scenario: “Alice e Marco, due ipotetici utenti hanno Immuni, che emette un segnale Bluetooth con un codice casuale. Quando Alice si avvicina a Marco, i loro smartphone si scambiano questi codici e li registrano nella propria memoria, tenendo così traccia di quel contatto. Registrano anche quanto è durato il contatto e la potenza del segnale ricevuto, indicatore approssimativo della distanza tra i due smartphone.
I codici sono generati casualmente e non contengono alcuna informazione sul dispositivo o l’utente. Inoltre, cambiano diverse volte ogni ora, in modo da proteggere ulteriormente la privacy. Non è in alcun modo possibile risalire all’identità dell’utente a partire dai suoi codici casuali.
Supponiamo che, successivamente, Marco risulti positivo al Covid-19. Con l’aiuto dell’operatore sanitario che gli ha comunicato l’esito del test, Marco potrà segnalare la sua positività a Immuni, condividendo i suoi codici casuali e allertando le persone con cui è stato a stretto contatto.
Nel caso del nostro esempio, l’app di Alice troverà il codice casuale di Marco, verificherà se la durata e la distanza del contatto siano state tali da poterlo considerare a rischio e, se questo è il caso, avvertirà Alice”.
Un passaggio delicato è l’inserimento del codice monouso alfanumerico sulla app per segnalare la positività e inviare un allert: “Quando un utente risulta positivo al virus, può decidere di caricare sul server di Immuni i dati necessari ad avvertire gli utenti che sono stati a stretto contatto con lui. Per farlo deve dettare il codice monouso che si trova nell’apposita sezione dell’app all’operatore sanitario che gli ha comunicato l’esito del tampone. Dopo che l’operatore sanitario valida il codice monouso, e l’utente può procedere al caricamento. In nessun modo le persone frequentate da Marco e avvisate da Immuni con una notifica avranno un nome, un cognome ed una faccia. Il codice monouso dura meno di tre minuti e non identifica l’utente della app.
Infine questioni più basiche: con il sistema Android nessun problema ma per Ios per avere una funzionalità senza intoppi bisogna fare l’ultimo aggiornamento. Quanto al traffico, il consumo è di qualche megabyte al giorno, più o meno come scaricare la pagina di un sito web. Il codice sorgente e tutta l’infrastruttura tecnica è pubblicata nel sito di Immuni.
Questa operazione consuma al massimo qualche megabyte di traffico dati al giorno, più o meno come se caricassi una pagina di un sito web.
Immuni è accessibile a persone con disabilità. “In particolare, supporta le tecnologia VoiceOver (su dispositivi iOS) e TalkBack (su dispositivi Android) che leggono il contenuto di ciò che si vede a schermo. In questo modo anche gli utenti con deficit visivi possono facilmente accedere a tutti i contenuti e funzionalità dell’app. Al momento Immuni non supporta comandi vocali”.
Non scaricare Immuni per difendersi dall’invadenza della rete nella vita privata è come attardarsi a chiudere con il filo elettrificato le stalle quando la mandria, ormai lontana dal recinto, sta correndo a precipizio verso il ciglio di un dirupo. La cosa più logica da fare sarebbe invertire la direzione della fuga, rallentarla, che nella nostra metafora corrisponde a scaricare Immuni. Pur di non ammettere di aver barattato un indirizzo di posta gratuito con la sovranità sui dati personali, l’atteggiamento è invece resistere ad Immuni in nome del diritto alla privacy e così neutralizzare una delle pochissime armi – spuntate – che possiamo usare contro il Covid.
Noidellascuola usa immuni.