Le scuole chiuse ma l’onore è salvo: saranno le Regioni ad assumersi la responsabilità dello stop alla presenza nelle scuole superiori e non il Governo. Il Ministro Azzolina non ha ceduto – e questa determinazione nessuno può disconoscerla – ma il limite del 75% di DAD le Regioni non lo rispetteranno. Ha iniziato la Campania, con la benedizione del Tar, e le altre si stanno accodando, rimuovendo dal tavolo il problema irrisolto dei trasporti pubblici, l’unico che stava alla politica risolvere. Meglio: che solo la politica avrebbe potuto risolvere. L’ufficialità è attesa per il pomeriggio di oggi, quando molti tavoli regionali sono convocati. Anche Domenico Maida, segretario regionale umbro di FLC CGIL, è stato invitato a sedersi ad uno di questi tavoli e sa che l’esito è abbastanza scontato: “E’ molto probabile che anche l’Umbria chiuderà gli istituti superiori. La prospettiva ci preoccupa soprattutto perché si sarebbe potuto evitare lavorando sulla catena del trasporto pubblico e scolastico, dove si annidano le criticità maggiori. Non si è fatto ed ora siamo costretti da un lato a privare intere generazioni della relazione educativa della scuola con la Didattica a distanza ma in molti casi a negare lo stesso diritto all’istruzione a causa del digitale divide. Prendiamo l’esempio dell’Umbria: in una zona come la Valnerina quanti studenti potranno seguire la Dad e quanti invece subiranno un black out completo dal punto di vista didattico? Dobbiamo domandarci se possiamo permetterci di depauperare così il capitale sociale del futuro. Quanti punti di PIL costerà? Non è quantificabile. A differenza di quello legato alle attività economiche, che può avere un ristoro finanziario, il capitale sociale non si costruisce con iniezioni di liquidità. Tra le molte responsabilità che i decisori si stanno assumendo in queste ore, ce ne una, importante, anche verso le nuove generazioni”.
Dunque: che le scuole superiori chiuderanno sembra quasi certo. Allora la domanda diventa: per quanto tempo? Su questo i sindacati allargano le braccia come d’altronde fanno anche i virologi più esperti e gli statistici. La seconda ondata in realtà sembra essere un upgrade della prima, a cui somiglia ma solo superficialmente. In teoria il DPCM di domenica porta la data di scadenza del 24 novembre. Non è improbabile che possa essere superato dalla proclamazione in prime time di un nuovo, indefettibile lock down, già prefigurato da autorevoli esponenti della scienza come esito dell’incremento geometrico dei casi.
Lo scenario che si delinea per i prossimi mesi è un prolungamento della chiusura della scuola fino alla fine delle vacanze di Natale per le superiori. Visto i precedenti, è probabile che tra qualche settimana tocchi anche alle scuole medie, mentre con le scuole primarie, scuole dell’infanzia e servizi per la prima infanzia, i nidi, si potrebbe tenere duro fino a dicembre e rimandare la decisione a dopo il periodo delle festività che ora diventerà della cattività, dato che non avremo scuse per uscire. Né il lavoro, né la scuola, nè shopping.
In quadro generale abbastanza prevedibile e sconfortante però ci sono alcune variabili che potrebbero condizionare le scelte governative: la tensione sociale che in queste ore sta prendendo forma nelle piazze delle città esprime un malessere già diffuso, che un’estate spensierata di rimozioni collettive non ha curato. Le due o tre settimane di stop con cui si sta tentando di introdurre e far digerire il tema del lock down sono le stesse che a primavera divennero due mesi di duro confinamento. Solo i contributi a pioggia e fondo perduto introdotti dal Governo nel Cosiddetto Decreto Ristori potrebbero aiutare l’Italia a sperare di nuovo che “Andrà tutto bene”.