Fonte: Il Manifesto – 12 gennaio 2021
Una lettera dei docenti del liceo classico Tasso, tra i più antichi di Roma, ha aperto un interessante dibattito sulle modalità di rientro a scuola. Il titolo del documento è «Basta propaganda sulle riaperture» e il nodo su cui è puntata l’attenzione è quello della continuità didattica che, sostengono, si può garantire solo riducendo le percentuali di studenti presenti fisicamente a scuola. «Dobbiamo imparare da quello che abbiamo visto a settembre/ottobre», afferma Massimo Pieggi, docente e membro del consiglio d’istituto, al quale rivolgiamo alcune domande. Le mobilitazioni di oggi [ieri per chi legge, ndr] hanno detto: «No alla Dad, torniamo in classe ma in sicurezza». È davvero possibile? Gli studenti hanno usato slogan diversi e non tutte le rivendicazioni coincidono. O meglio, qui a Roma c’è una specificità: tanti ragazzi, come quelli che frequentano il nostro liceo, non sono scesi in piazza contro la Dad, ma per contestare le decisioni del prefetto Matteo Piantedosi. In particolare i turni di ingresso fino alle 10 di mattina e la compressione dei giorni di lezione da sei a cinque. In alcuni istituti questo significherebbe uscire alle 17 o 18, rendendo ancora più complicata la vita degli studenti. Diritto allo studio significa anche garantire i tempi necessari a fare i compiti, ripetere, preparare le verifiche. In questi mesi molte proteste hanno chiesto di dare priorità al rientro tra i banchi. La pubblicazione sul manifesto del vostro appello, invece, ha fatto saltare il tappo a prese di parola differenti. Abbiamo ricevuto decine di lettere firmate da migliaia di studenti e docenti che denunciano grande preoccupazione per la didattica in presenza. La comunità scolastica è spaccata? Più che la didattica in presenza la fonte di preoccupazione è la sostenibilità dell’attuale modello organizzativo. Docenti e studenti desiderano tornare in presenza, ma è necessaria una modalità organizzativa strutturale che permetta una programmazione di lungo termine. Dal rientro in classe tra settembre e ottobre abbiamo visto che la frequenza con percentuali troppo alte è irrealistica. In quei mesi la situazione epidemiologica era migliore e si poteva fare lezione con le finestre aperte. Avere l’80% o il 100% degli studenti in presenza ha comunque provocato quarantene e interruzioni continue. Il problema non è solo per la nostra salute, ma riguarda la didattica e le relazioni con gli studenti. È molto peggio tornare due settimane al 75% e poi dover stare a casa due o tre mesi. Non esistono dati incontrovertibili sul contagio a scuola, ma sappiamo con certezza che quando qualcuno si contagia fuori poi bisogna mettere in quarantena intere classi e rispettivi docenti. E così salta la continuità.
Quindi cosa proponete?
Di tornare in classe con percentuali ridotte in questa fase epidemiologica. Il 75% o il 50% non sono sostenibili. Proponiamo la frequenza al 25/30%, portandola a metà degli studenti solo per le classi del primo anno. (…) In un quadro simile noi docenti potremmo essere presenti tutti i giorni, facendo una parte di didattica dal vivo e un’altra online, collegandoci dalle scuole.
Vaccinare prima i professori è una soluzione?
Se significa dare priorità al personale scolastico – tutto, non solo i docenti – dopo quello sanitario e gli ospiti delle Rsa può andar bene. Ma non credo sia giusto anteporre chi lavora nelle scuole a medici, infermieri o agli anziani che vivono nelle residenze.
Abstract articolo di Giansandro Merli