Fonte: Orizzontescuola.it – 18 gennaio 2020
Iniziative in Toscana ed Emilia, mentre la Francia annuncia un piano da un milione di tamponi al mese. Salmaso: “Anche test meno precisi come quelli antigenici, se effettuati regolarmente possono mantenere la scuola sicura”. Scuola, che fare? A undici mesi dall’inizio della pandemia un’idea nuova che si affaccia. Un po’ in Francia e un po’ in Toscana, qua e là in Emilia Romagna e sporadicamente in altri comuni italiani, stanno per partire delle campagne di test rapidi periodici su studenti e professori. Non si tratta degli screening una tantum, risultati non troppo efficaci (Bolzano dopo il test a tappeto di novembre si ritrova in zona rossa). “Per essere efficaci, i test rapidi devono essere ripetuti con regolarità” sottolinea Stefania Salmaso, ex direttrice del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute all’Istituto superiore di sanità e oggi membro dell’Aie, Associazione italiana di epidemiologia. La cadenza fissa permette di ovviare ai due limiti principali dei tamponi rapidi antigenici: la loro fallibilità e il fatto che registrazione solo la situazione del momento. Test ripetuti ogni 3-4 giorni sono invece la soluzione adottata in molti campus americani per isolare subito i focolai e consentire lo svolgimento regolare dell’anno accademico. In Francia da giovedì un milione di studenti e insegnanti saranno testati una volta al mese per bloccare i focolai. In Toscana è appena partito il progetto “Scuole Sicure”, che prevede test rapidi a campione e a rotazione su 54mila studenti e professori di 152 scuole superiori della Regione. Certo, l’affidabilità dei test rapidi è un tema pieno di dubbi. “Ci sono tante ditte diverse che li producono in molti paesi del mondo. La precisione spesso è certificata solo dal produttore e i controlli sporadici” spiega Salmaso. “Ma anche un test lontano dall’optimum, se ripetuto, può diventare uno strumento utile per il monitoraggio delle scuole”. La seconda ondata è montata in seguito alla riapertura dell’anno scolastico ma Salmaso spiega che “l’associazione temporale non ci dice molto sul ruolo che la scuola possa avere avuto nelle diverse fasi della pandemia, dato che molte altre contromisure sono state messe in atto”e aggiunge: “Uno studio sui focolai epidemici nelle scuole in Inghilterra ha dimostrato che la maggior parte della trasmissione era tra gli insegnanti e in misura minore tra gli allievi. Anche la valutazione dei dati di contact tracing sembra indicare che in pochi casi la trasmissione intrafamiliare sia stata avviata da un ragazzo che va a scuola”. I dati raccolti dall’Aie a proposito della riapertura delle scuole a settembre parlano di un incremento registrato soprattutto fra i ragazzi delle medie (11-13) e delle superiori (14-18 anni). L’andamento della curva dei bambini più piccoli è stato invece paragonabile o inferiore a quello degli adulti. “L’appello dell’Aie – conclude Salmaso – è quello a una migliore sorveglianza delle scuole, con un coordinamento nazionale che renda disponibili i dati a tutti”.
Abstract articolo di Elena Dusi