Fonte: il manifesto – 18 gennaio 2020
Il ritorno in aula non poteva avvenire in modo più contraddittorio e caotico ma in questi mesi si è capito l’importanza della scuola. La stanchezza e lo sconforto di molti insegnanti, studenti e famiglie hanno spinto il governo a questa decisione la quale però resta non solo disattesa in alcune Regioni, ma non smette di suscitare reazioni divergenti. In ogni caso la didattica a distanza ha mostrato irrimediabilmente i suoi limiti e gli studenti protestano invocando il loro diritto allo studio violato dall’emergenza sanitaria. Più in generale il ripristino della comunità viva della scuola è avvertito da tutti come una priorità. Inutile ribadire che l’attuale chiusura delle scuole si scarica in particolare sulle famiglie con meno risorse economiche e socialmente più svantaggiate. Tutto questo è vero, legittimo, incontestabile. Ma quale è il compito di chi si vuole prendere seriamente carico della responsabilità che comporta il discorso educativo? Non esiste forse un’altra evidenza altrettanto inaggirabile di quella che esige la riapertura della scuola? (…) Scopo del discorso educativo non è mai quello di perseguire illusioni, ma quello di tenere conto del reale soprattutto quando esso appare nel suo volto più ostile. La strada di ogni processo formativo non è mai spianata, ma è fatta di imprevisti, cadute, accidenti. Il Covid evidenzia eccezionalmente una regola: si dà formazione solo se si conosce l’esperienza dell’ostacolo, dello smarrimento, dell’angoscia. Non c’è effetto di formazione che non abbia come suo presupposto l’incontro con il carattere inemendabile del reale. E se invece provassimo a considerare il trauma del Covid non tanto come ciò che oggettivamente ha imposto la chiusura della scuola, ma come ciò che ha reso possibile la sua apertura permanente? Non è infatti quello del Covid un tremendo magistero per i nostri figli, di gran lunga superiore a quello che può essere impartito loro nelle aule della scuola? Molti insegnanti compiono già questo difficile lavoro: provare a vedere nel trauma del Covid non tanto l’accidente che impedisce l’attività didattica, ma ciò che la sprona. Non è questo da sempre il grande compito della scuola? Opporre, come direbbe Pasolini, il desiderio di vita al desiderio di morte. In gioco non è solo la salvaguardia dell’attività didattica dalla presenza ostile del Covid, ma l’implicazione di questo trauma collettivo nella didattica. Nel mondo ideale tutto è possibile, ma nel mondo reale siamo costretti a fare esperienza dell’impossibile. Gli insegnanti hanno dimostrato di tenere conto dell’impossibile nel processo di formazione non arretrando sul loro desiderio di insegnare ma adeguandolo alle asperità imposte dal reale. Essi sanno bene come nel loro lavoro quotidiano non si tratta solo di trasmettere delle nozioni ma di dare innanzitutto prova di una resistenza attiva al potere della distruzione e della morte, testimoniando che la cultura non arretra di fronte al male anche quando esso ha la forma impalpabile di un virus.
Abstract articolo di Massimo Recalcanti