Fonte: La Repubblica – 12 febbraio 2021
Ventisettesimi. Ci farebbero una malattia, i tifosi dell’Italia, se finissimo ventisettesimi ai Mondiali di calcio. Una malattia. Essere così bassi nel ranking della Ricerca mondiale, invece, pare interessare sì e no. E dai dati, implacabili, ricaviamo che per Mario Draghi, il quale nel suo primo discorso da premier ha insistito cinque volte sull’obbligo assoluto di investire molto di più nella Ricerca, ottenere un’accelerazione non sarà facile. Certo, i Ricercatori italiani si fanno onore nel mondo i finanziamenti risentono di una carenza endemica. Da Observa – Annuario Scienza Tecnologia e Società 2021 , a cura di Barbara Saracino e Giuseppe Pellegrini, edito dal Mulino, emerge che nella classifica dei Paesi che mettono più soldi in Ricerca & Sviluppo rispetto al Pil (escluse le spese per la difesa che in alcuni Stati letteralmente divorano i bilanci) non stiamo solo dietro Israele, Corea, Taiwan o Germania ma anche dietro Slovenia, Repubblica Ceca, Ungheria… La quota che destiniamo al settore (meglio: al futuro, perché da lì passa il rilancio) è solo dell’1,4% del nostro prodotto interno lordo. Inferiore alla media europea (2,0%) e a quella Ocse: 2,4%. Altra classifica, altra bastonata: per numero di Ricercatori impiegati in R&S ogni mille occupati è in testa la Danimarca con 15,7, seguita ancora da Corea, Svezia, Finlandia… E noi siamo ancora a un terzo: 6 su mille. Davanti a Romania, Sudafrica o Messico. Ma dietro la media Ue, quella Ocse o la Slovacchia. Un delitto. E se per certi versi consola sapere che l’Università copre il 37,3% e il settore pubblico il 15,6% di tutti i Ricercatori italiani, colpisce come il settore privato (che nella media Ocse assorbe quasi due terzi di quanti lavorano alla Ricerca e allo sviluppo, con punte del 72,8% in Svezia, 74,4 in Giappone, 82,0 in Corea) galleggi da noi al 43,6. Peccato. (…) Si può dare di più, per dirla con Morandi, Ruggeri e Tozzi? Certo. Lo dimostra la Germania che nel 2013, col progetto «Roadmap for Research Infrastructure» dell’allora ministro per l’Educazione e la Ricerca Johanna Wanka (che già non partiva da zero) decise di imporsi una tabella di marcia per «fornire un eccezionale ambiente per la Ricerca» capace di attrarre Ricercatori di tutto il mondo e internazionalizzare la Ricerca tedesca. Obiettivo raggiunto in una manciata di anni scalzando infine dal primo posto la Gran Bretagna storicamente avvantaggiata dalla lingua. Potremmo farcela anche noi, magari giocando anche carte che altri non hanno, come l’ospitalità di un Paese bellissimo, il clima e una cucina di assoluta eccellenza? (…) Sarà poi un caso se nella classifica dei Paesi europei più innovativi, stilata sulla base di ventisette indicatori nel dossier Innovation Union Scoreboard 2020, siamo solo diciottesimi dopo la Repubblica Ceca e Malta?
Abstract articolo di Gian Antonio Stella