Fonte: Il Manifesto – 2 marzo 2021
Prima a chiudere, ultima a riaprire, la scuola continua a restare nel caos che ha fatto a pezzi il diritto allo studio e ha imposto un’autonomia differenziata nell’istruzione nel primo anno della pandemia del Covid. Mentre si attende il nuovo «Dpcm» che chiuderà tutte le classi nelle zone rosse dal 6 marzo per un mese (oggi la cabina di regia si incontra di nuovo), nel Far West delle regioni vengono adottate scelte idipendentemente dai colori dell’epidemia. Bianco, giallo, arancione («rafforzato» a Bologna) o rosso (per ora Basilicata, Abruzzo e Alto Adige), poco conta. Tra decreti del Ministero della sanità, ordinanze dei presidenti delle Regioni, sentenze dei Tar contraddittorie, e una campagna di vaccinazione del personale che procede a singhiozzo, anche con il nuovo governo «dei migliori» continuano i problemi della gestione Conte-Azzolina. Non solo si mettono in didattica a distanza (DaD) le scuole superiori che, stando al prossimo «Dpcm», dovrebbero invece mantenere le classi tra il 50% e il 75% in presenza, ma si chiudono anche gli asili, le elementari e le medie.
Questa situazione interessa oltre 3 milioni di studenti: 800 mila bambini della scuola dell’infanzia e primaria, quasi mezzo milione di alunni delle medie e 1 milione e 800 mila studenti delle superiori. Con intere regioni (Campania, Basilicata, Molise, Trentino Alto-Adige) e alcune città in Dad al 100%. Decisioni prese sulla base degli allarmi percepiti dagli amministratori e dai virologi locali più che da una reale capacità di tracciamento dei contagi provocati dal virus, e dalla sua «variante inglese» che colpirebbe di più i bambini. A sostegno di queste tesi si fa riferimento a una ricerca del Cnr che sostiene un legame diretto fra l’aumento dei ricoveri per Covid nelle unità di terapia intensiva e la riapertura delle scuole. Oppure un altro dell’Istituto Superiore di Sanità. Tuttavia, dall’interno del Comitato Tecnico Scientifico, anche ieri si è continuato a sostenere che le aule sono sicure e il contagio avviene fuori. Nell’ignoranza delle cause, e dei dati, la scuola resta ostaggio di una polarizzazione che la sta annientando in uno «stop and go». Anche in questo caos, e in una condizione psico-sociale pesantissima, milioni di studenti e i loro docenti continuano a fare lezione, con e senza schermi.
Un chiarimento dovrebbe essere individuato nella Corte Costituzionale del 24 febbraio. Il testo stabilisce che, in un periodo di pandemia, è lo Stato ad avere la priorità del governo. «Il legislatore regionale, anche se dotato di autonomia speciale, non può invadere una materia avente come oggetto la pandemia da Covid 19, diffusa a livello globale». Oltre ai vaccini, anche la scuola dovrebbe rientrare in questa fattispecie, a dispetto della volontà dei cacicchi locali.
Intanto oggi e venerdì 5 marzo il movimento «Usciamo dagli schermi» ha promosso due giornate di «disconnessione» dalla Dad in una regione come la Campania martoriata dal conflitto Stato-regioni sulla scuola. «Ci rifiutiamo – dicono gli attivisti – di accettare una chiusura decisa senza una reale motivazione epidemiologica e fuori dal quadro normativo nazionale. Ci rifiutiamo di sacrificare il diritto all’istruzione sull’altare dell’interesse politico e di un uso strumentale dell’emergenza sanitaria».
Protesta anche il movimento «Priorità alla scuola» con un mail-bombing al ministro dell’Istruzione Bianchi. «La scuola è l’unico capro espiatorio, è gravissimo che in molte regioni si stenti a far partire la vaccinazione del personale scolastico e degli anziani. Siamo sgomenti per l’inversione di rotta del Cts. Constatiamo il suo silenzio di fronte al nuovo sacrificio di alunni e alunne di tutte le età. Continueremo a protestare anche sotto il suo ministero».
Abstract articolo di Roberto Ciccarelli