Fonte: la Repubblica – 19 marzo 2021
Stando al governo i genitori che possono lavorare a distanza possono anche tranquillamente occuparsi dei loro bambini senza nido o scuola materna, così come di quelli di poco più grandi occupati con la Dad, surrogando anche la mancanza di compagni di giochi. E fare fronte alla normale irrequietezza e bisogno di attenzione di bambini che hanno perso, insieme ai loro riferimenti quotidiani, anche i coetanei e la possibilità di utilizzare gli spazi attrezzati all’aperto. Che ci vorrà mai? Si ritengano fortunati di poter lavorare da casa e non pretendano di avere il bonus baby-sitter o di ottenere il congedo straordinario! Pazienza se i colleghi di lavoro, i capi uffici, non possono aspettare la notte o l’ora del sonnellino del bambino per fare la riunione o discutere del lavoro, se le pratiche devono essere completate entro sera. O se gli studenti cui devono fare lezione a distanza si distraggono a causa delle continue interruzioni. Il voucher baby-sitter previsto nel decreto del 12 marzo è riconosciuto solo ad alcune categorie di lavoratori/lavoratrici in presenza, neppure a tutte: lavoratori autonomi, iscritti alla gestione separata Inps, personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, dipendenti del settore sanitario. A differenza del provvedimento analogo del 2020, ne sono esclusi non solo coloro che possono/devono lavorare a distanza, ma anche i lavoratori/lavoratrici dipendenti che lavorano in presenza ma non nei settori definiti essenziali: operai/e di fabbrica, addetti alla logistica, commesse/i dei supermercati. A questi (e solo a loro) è lasciata l’alternativa del congedo, con contestuale dimezzamento dei salari, un’opzione costosa per chiunque, ma particolarmente per chi ha già in partenza redditi bassi, come è spesso il caso di queste categorie di lavoratrici. Da questa regolazione degli aiuti alle famiglie emerge una ben strana visione sia dei bisogni dei più piccoli sia dei problemi organizzativi che la chiusura di servizi educativi per la prima infanzia e della didattica in presenza ha creato per molti genitori. Invece di introdurre qualche forma di flessibilità, che lasci ai genitori la possibilità di trovare la soluzione migliore per il proprio specifico caso, le alternative sono fissate con criteri che nulla hanno a che fare con i bisogni dei bambini, la specifica condizione economica delle famiglie, le condizioni effettive di lavoro, sia per chi lavora a distanza che per chi lavora in presenza. Aiutare i genitori a conciliare il mantenimento del posto di lavoro con la presenza di figli in casa 24 ore su 24 non costituisce una soluzione ai bisogni educativi e di socialità delle bambine/i e adolescenti, messi duramente a repentaglio dalla sospensione della didattica e delle relazioni in presenza. Per garantire il più possibile, nelle circostanze pandemiche, il benessere dei bambini, nidi, scuole dell’infanzia e almeno scuole elementari andrebbero aperte al più presto e dappertutto dove a livello locale, non regionale, si sia al di sotto dei parametri da zona rossa. E consentire che rimangano aperti i presidi educativi organizzati dalla società civile e dal terzo settore, dove piccoli gruppi possano accedere anche per la didattica a distanza, con l’accompagnamento di educatori. È quanto chiedono molte associazioni, tra cui Alleanza per l’Infanzia e le reti che si raccolgono in EducAzioni. Ma una maggiore attenzione per le effettive condizioni in cui si trovano molti genitori lavoratori, in particolare madri, aiuterebbe a superare questo periodo difficile, senza costringere molte di loro ad abbandonare il lavoro, come sta già succedendo.
Abstract articolo di Chiara Saraceno