Fonte: La Stampa – 29 marzo 2021
Non ripetere questo anno il record di 200mila supplenti di settembre 2020. È l’obiettivo che il premier Mario Draghi ha chiesto al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, considerando anche che lo scorso anno le ultime supplenze sono state assegnate (sul sostegno, ma non solo) a dicembre inoltrato con molte scuole di nuovo in Dad. Per tale scopo si sta lavorando a un maxi-piano di stabilizzazioni destinato a coinvolgere almeno 50mila precari. Se non 60mila, come confermano anche fonti sindacali. A Viale Trastevere si sono già messi al lavoro e a metà marzo hanno definito l’organico docente: 620.623 cattedre comuni, 106.170 di sostegno, e 14.142 adeguamenti alle situazioni “di fatto”. In linea più o meno con l’anno scorso, se si eccettuano i 5mila prof di sostegno e i mille della scuola dell’infanzia in più (e i 650 in meno ai professionali). Dunque, tra posti rimasti vacanti l’anno scorso e nuove esigenze servirebbero oltre 60mila prof. Se al conto aggiungiamo i 27.500 pensionamenti, che a settembre corrisponderanno ad altrettanti vuoti d’organico, ci avviciniamo a quota 90mila. Come e dove trovare i docenti? A oggi l’unico punto fermo è il concorso straordinario semplificato, voluto dall’ex ministra Lucia Azzolina, che dovrebbe portare in cattedra 32mila precari con tre anni di servizio alle spalle. La selezione scritta si è conclusa, si aspetta la definizione dei vincitori. A quel punto, immaginando che diventino tutti di ruolo quest’anno, le esigenze scenderebbero sotto le 60mila unità. Forse a 50mila visto che una quota di ingressi dalle Gae ci sarà anche quest’anno (soprattutto per infanzia e primaria). (…) In questo quadro per nulla agevole, Istruzione e Palazzo Chigi stanno approfondendo due ipotesi. La prima prevede lo sblocco della mobilità e l’addio al vincolo dei 5 anni – con 100-130mila insegnanti che ne approfitterebbero per riavvicinarsi a casa – e la promozione di un corso-concorso “semplificato” (ma non riservato) e incentrato sui titoli di servizio, per inserire precari storici, magari con un primo anno formativo e l’immissione in ruolo nel 2022/2023. La seconda verterebbe invece sul rinvio di un anno della mobilità e sulla conferma di tutti i precari sui posti attualmente occupati. Fermo restando il corso-concorso di cui sopra. Il problema è costituito dal rischio di possibili ricorsi. Da qui l’idea di stabilizzare in ordine di graduatoria (non quindi quelli oggi in cattedra, spesso non abilitati). La soluzione tecnica passa inevitabilmente anche per quella politica, con M5S e Iv contrari a nuove sanatorie, Pd e Lega invece favorevoli alla stabilizzazioni dei precari storici. Trovare un compromesso non è semplice. Specialmente se si vuole evitare che l’obiettivo di ridurre il precariato, con la mobilità senza freni, finisca paradossalmente per crearne altro.
Abstract articolo di Eugenio Bruno e Claudio Tucci