Fonte: Tuttoscuola– 31 maggio 2021
Abstract articolo di Redazione
La semplice riattivazione dei concorsi non cambierebbe – da sola – la situazione della scuola italiana in modo significativo.
Fare in modo che in cattedra salgano professionisti dell’educazione in grado di svolgere il delicato e sempre più complesso compito che si richiede a un insegnante è un aspetto cruciale per raggiungere quella qualità generalizzata che è una chimera della scuola italiana.
I dati relativi alla povertà educativa dicono impietosamente quanto siamo lontani. E non c’è dubbio che per ottenere quella pre-condizione la modalità primaria di selezione sia – come previsto dalla Costituzione – quella dei concorsi. Ma ci sono anche fondate ragioni per ritenere che la semplice riattivazione dei concorsi non cambierebbe – da sola – la situazione della scuola italiana in modo significativo (anche se di certo non la peggiorerebbe…).
È vero che la ricerca, nazionale e internazionale, mostra che il più importante fattore della qualità dei risultati ottenuti dagli studenti è la qualità professionale dei loro insegnanti, ma è anche dimostrato che quest’ultima dipende da una pluralità di coefficienti che intervengono prima del reclutamento. Il principale limite non è in effetti costituito dalle modalità di reclutamento degli insegnanti (per concorso o tramite graduatorie) ma da un insieme di altri elementi che proviamo a riassumere: la loro formazione, iniziale e continua, che appare carente sul piano delle competenze professionali e sfasata rispetto alle esigenze dei giovani delle ultime generazioni.
La mancanza di incentivi a scegliere i corsi di studio universitari che portano all’insegnamento; l’assenza di una carriera e di posizioni professionali intermedie con retribuzioni differenziate; l’arretratezza degli ordinamenti (con la parziale eccezione della scuola dell’infanzia e della primaria), tuttora disciplinaristi e basati su standard di prestazione impersonali; la conseguente ambiguità dalla loro mission sociale, sospesa tra selezione (legata agli standard) e inclusione, che richiederebbe una esplicita personalizzazione dei modi e dei tempi dell’apprendimento e la sostanziale eliminazione delle ripetenze, che sono un fallimento della scuola più che degli studenti; il ritardo nell’impiego sistematico delle nuove tecnologie nella didattica, dovuto anche al conservatorismo dei nostalgici della scuola libro-centrica e solo in presenza dell’era pre-internet.
In mancanza di un organico programma di politica scolastica (almeno triennale, come propone Gino Roncaglia in un efficace articolo pubblicato sul sito agendadigitale.eu ) che affronti questi problemi, che nel loro insieme sono quelli della modernizzazione del nostro sistema educativo, il ritorno dei vecchi concorsi non basterebbe. Insomma, concorsi sì, ma il compito è ben più ampio. Per ricostruire un edificio in rovina occorre avere un progetto complessivo.