Se mandare il figlio a scuola in questo anno scolastico caratterizzato dallo sprettro del Covid, se si hanno le qualifiche per insegnare e anche le possibilità economica per restare a casa e garantire una formazione adeguata al proprio figlio, allora si può far ricorso all’“istruzione parentale”. Per molti sembra quasi paradossale: un bambino che studia in casa, da solo, assistito da una persona, rievoca alla mente la figura del precettore al quale era affidata l’educazione e la cultura dei giovani rampolli di nobili famiglie. Un’immagine arcaica, non di certo mederna ed attuale. Invece, in questo periodo, a causa del Covid, e forse anche per il caos che regna nel mondo della scuola, si sta registrando un’impennata di richieste di ricorso all’istruzione parentale. La Costituzione italiana dice a chiare lettere che “la scuola è aperta a tutti”. Non c’è, però, alcuna legge, che obbliga i ragazzi a recarsi fisicamente in un istituto scolastico. E qui entra in gioco l’“istruzione parentale”: una decisione presa dalle famiglie che il Ministero definisce “un’alternativa alla frequenza delle aule scolastiche”, forse più nota se definita con i termini anglosassoni quali homeschooling o home education.
La si definisca in italiano o in inglese, l’istruzione parentale è la scelta della famiglia di provvedere direttamente all’educazione dei figli. E lo si può fare. Seguendo delle regole, ovviamente. Innanzi tutto deve esseci una persona che si occupa della formazione del giovane e deve essere formata per farlo. Una mamma, un papà, una zia oppure un’insegnante esterna alla famiglia. Identificata la persona giusta i genitori devono rilasciare al dirigente scolastico della scuola più vicina una dichiarazione, da rinnovare ogni anno, circa il possesso della capacità tecnica o economica per provvedere all’insegnamento parentale. Il dirigente scolastico ha il dovere di accertarne la fondatezza. La scuola che riceve la domanda di istruzione parentale, inoltre, è tenuta a vigilare sull’adempimento dell’obbligo scolastico dell’alunno che, per garantire lo svolgimento corretto del piano di studi proposto, dovrà sostenere un esame di idoneità all’anno scolastico successivo. A controllare non è competente soltanto il dirigente della scuola, ma anche il sindaco del Comune di residenza.
Il nostro ordinamento giuridico, prevede da diversi anni la possibilità di provvedere direttamente all’istruzione dei propri figli, facendo a meno del servizio scolastico. In primis lo prevede per gli alunni con disabilità, (legge quadro n. 104/92 all’articolo 12, comma 9), per tutti gli altri alunni, invece, la previsione normativa riguardante tale possibilità è contenuta al comma 2 dell’articolo 11 del decreto legislativo 297/94 che tratta delle modalità di adempimento dell’obbligo scolastico: “i genitori dell’obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità”.
Formazione a parte, escluso i casi realmente gravi, crediamo che il Covid non debba determinare l’isolamento dei nostri ragazzi: al di là delle leggi, la socializzazione dei nostri figli rimane un tassello importante per la loro formazione.
Mirna Ventanni