RITORNO DELLA SCUOLA IN PRESENZA: L’ALLARME FUORI TEMPO MASSIMO DI MIOZZO (CTS).

E’ Agostino Miozzo, medico e coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts) a guidare il mea culpa della chiusura delle scuole in presenza. In particolare negli ultimi giorni le dichiarazioni sono fioccate anche in termini molto polemici.  “Che il ritorno a scuola portasse con sé il rischio di un rialzo dell’epidemia era ben prevedibile, non fosse altro per il fatto che muovere dieci milioni di persone nelle stesse ore della giornata crea i picchi di traffico automobilistico ma soprattutto nei trasporti pubblici che, come ho ricordato poc’anzi, erano a tutti ben noti.  Basta guardare oltralpe per vedere come Paesi come la Francia, la Germania, l’Inghilterra, che stanno affrontando il nostro stesso dramma, hanno reagito. Il lockdown è patrimonio comune (con qualche differenza nella modalità di restrizioni) ma c’è un punto comune: le scuole sono aperte, tutte le scuole, pur in costanza di lockdown anche decisamente severi. Questo si legge nel sito del Governo del Regno Unito, Paese di cui tutto si può dire tranne che non abbia una sacra considerazione della formazione come bene primario dei cittadini. La differenza sostanziale sta nel buon senso di comprendere che la scuola è comunque un ambiente protetto, controllato, dove vigono regole precise, dove insegnanti e personale obbligano i ragazzi al rispetto delle regole comportamentali e dove oltre l’obbligo c’è il momento educativo, pedagogico; dove il tuo insegnate ti rende consapevole del momento, partecipa ai suoi ragazzi le proprie percezioni, condivide emozioni e indicazioni utili a comprendere come loro possono essere un pericolo per i loro cari, genitori o nonni che siano”. E finalmente la verità sulla chiusura delle scuole come responsabile della seconda ondata: “La chiusura delle scuole, in assenza di provvedimenti restrittivi la mobilità delle persone comporta poi la possibilità reale che i ragazzi nel tempo libero dalla scuola si incontrino nei locali pubblici, nei centri commerciali, nelle case private dove si ritrovano a gruppi senza alcun controllo o mediazione. Magari aprendo il proprio tablet e dimostrando la presenza in onore di una improbabile DAD che non può riconoscere il luogo da dove ti colleghi. Qualche giorno fa alle nove di mattina ho visto dei ragazzi in un bar di Roma, a Ponte Milvio, noto luogo della movida romana.

“Altrettanto descritto è, in alcune aree del Paese, il tentativo di reclutamento da parte della criminalità organizzata di bambini sotto i 14 anni che per settimane non frequentano la scuola e che facilmente diventano strumento di spaccio di ogni tipo di bene caro alla delinquenza. Un punto di valutazione si impone sulla mitica movida, mediaticamente responsabile del disastroso aumento della pandemia, anche perché improvvisamente pare che tutto prenda origine da quei raduni di giovani davanti a uno spritz! La movida è certamente un luogo ad alto rischio, su di essa si sono concentrate le attenzioni mediatiche di tutti gli organi di stampa e giustamente questi assembramenti sono stati vietati. Ma quanti sono i giovani della movida? Un bravo psicoterapeuta mi ha aiutato a fare quattro calcoli. Un migliaio a Ponte Milvio o altrettanti a Piazza Campo de’ Fiori a Roma? Quattro, cinquemila a Trastevere? Cinquemila lungo i navigli a Milano? Parliamo di migliaia di unità; ma quanti sono i giovani che da settimane o mesi non escono più di casa, che sono rifugiati nel buio della loro stanza davanti ad uno schermo di pc per ore ed ore, vittime di quella ormai famosa “sindrome della capanna” che genera paure, ansia, insonnia e tante altre patologie della mente. Ma i disturbi della psiche non sono così evidenti, almeno nell’immediato, non fanno clamore, non colpiscono le attenzioni dei media. Abbiamo l’obbligo come comunità scientifica di valutare il rischio potenziale del ritorno di milioni di studenti a scuola in presenza, e dobbiamo fare l’impossibile affinché questo sia un livello di rischio accettabile, mettendo in campo tutte le risorse possibili per ridurre al minimo la vulnerabilità dell’intera popolazione scolastica, delle loro famiglie, e dell’intero Paese”, spiega. “Personalmente sono assolutamente convinto che quella della scuola sia la nuova grande emergenza del nostro paese. I nostri ragazzi hanno già perso cinque mesi di scuola; dal 4 marzo sono costretti a curare la loro crescita culturale e didattica in piena solitudine, aiutati solo dalle loro famiglie e da migliaia di splendidi insegnati che hanno ben compreso e soffrono con loro il dramma che questo devastante virus sta avendo sul futuro della scuola italiana e quindi dei futuri cittadini del nostro Paese”, conclude. Ma forse questo grido d’allarme è fuori tempo massimo.

Redazione

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